Cos’è l’epigrafia? È lo studio delle scritte scolpite su marmo, pietra, fuse nel bronzo o in altro metallo, e (più rare) dipinte sui quadri antichi. Quale funzione avevano? Ricordare e celebrare momenti, fatti e personaggi rilevanti per quella determinata società e classe politica e garantirne la memoria per i posteri.
A Pirano sono sicuramente oltre cento le epigrafi che percorrono la sua storia da Roma al 2004. Sono un po’ ovunque. Ci siamo talmente abituati che non le “vediamo” più. Una pubblicazione, patrocinata dalla CAN, ne raccoglierà oltre 80.
Un esempio? Quella nell’Atrio del Municipio: risale al 1291. Celebra la costruzione del primo palazzo comunale (podestarile). Avvenne per volontà e incarico del podestà Matteo Manolesso, che viene ricordato. L’epigrafe è stata scolpita da un certo Paulo, che vi si firma con una punta di orgoglio.
Perché è importante? La costruzione dei palazzi comunali significa che la città e il suo territorio erano amministrati secondo lo Statuto. Questo garantiva libertà, diritti e doveri dei cittadini affinché non ci fossero privilegi e soprusi: in città si era uomini liberi. Iniziava timidamente l’era moderna. L’epigrafe del 1291 ci ricorda quanto è lunga la strada della libertà e della democrazia.
Nei secoli Pirano è appartenuta a diversi stati. Lo testimoniano pure le epigrafi che, quando si passava ad un altro stato, qualcuna veniva danneggiata o distrutta. Si voleva cancellarne la memoria.
Sul lato destro della facciata del Tribunale una piccola lapide grigio-azzurra ricorda cinque piranesi che “diedero la vita per la nostra redenzione”. La frase è chiaramente antiaustriaca. Messa nel 1919 ricordava i volontari italiani che persero la vita combattendo contro “l’Austria”, di cui erano cittadini.
Nel 1919, quando fu collocata era appendice della più grande “targa della Vittoria”, in bronzo, dedicata all’ultima battaglia dell’esercito italiano su quello austriaco, che sancì la fine della I guerra mondiale. Secondo un giornaletto dell’epoca fu “distrutta” la notte del 13 luglio 1946 da un gruppo di “federativi”.
Daniela Paliaga