La Comunità degli Italiani di Pirano ricorda l’inaugurazione del Monumento a Tartini avvenuta il 2 agosto 1896 con il commento di Tullio Vorano sul testo del libretto del dott. Ermanno Nacinovich TARTINI A PIRAN DOPO DO SECOLI di proprietà dei coniugi Daniela Milotti Bertoni e Boris Bertoni.
Il dott. Ermanno Nacinovich, autodefinitosi albonese sebbene fosse nato nella vicina Santa Domenica, decise nel 1892 di dedicare un’Ode al grande musicista piranese Giuseppe Tartini e di pubblicarla col titolo: Tartini a Piran dopo do secoli (8 avril 1682 – 1892). Infatti, nel 1892, nel bicentenario della nascita del grande Tartini, i solerti e accorti cittadini piranesi decisero di innalzare un monumento al loro illustre compaesano e in tal modo farlo ritornare simbolicamente nella sua città natale. Per la verità, la statua, opera del massimo scultore veneto di quel tempo, Antonio Dal Zotto, fu eretta quattro anni più tardi, nel 1896. Il Nacinovich si era già reso noto nel 1886 per aver pubblicato, nello stesso Stabilimento tipo-litografico Emidio Mohovich di Fiume (quale primo italiano) la biografia (67 pagine), ancor oggi valida, del famoso teologo protestante Mattia Flacio Illirico (Albona, 1520 – Francoforte sul Meno, 1575) intitolandola: Flacio – Studio biografico storico. È curioso notare pure che, nello stesso 1892, Ernesto Nacinovich, fratello di Ermanno (studiarono insieme a Zara) diede alle stampe, sempre nello stesso Stabilimento fiumano, la storia della nobile famiglia albonese degli Scampicchio (La Famiglia Scampicchio), in occasione delle nozze del dott. Vittorio Scampicchio con la baronessa Lina de Lazzarini – Battiala.
L’Ode, dai versi rimati in vernacolo locale e suddivisa in dieci episodi, vuole essere un omaggio (un rispeto) di Ermanno a Tartini. Oggi l’Ode è di difficile comprensione nei suoi dettagli, perché è scritta in un dialetto vetusto e ormai in disuso, ma nell’insieme esprime con chiarezza le idee essenziali dell’autore. I primi quattro episodi mettono in evidenza i personaggi più illustri della penisola istriana, mentre i successivi tre fanno dei chiari riferimenti alla vita e all’opera del Maestro Tartini. I conclusivi tre esprimono l’entusiasmo dell’autore per l’idea del monumento.
Nel primo episodio Ermanno parte da lontano, dai tempi remoti di Nesazio, dal suo re Epulo e quindi, quale profondo conoscitore della storia, menziona alcuni noti personaggi della antica civiltà polese. Epulo di buon mattino sembra voler svegliare Giuseppe Tartini (Bepin) per dirgli che la sua Pirano è in festa e che i piranesi (ma anche tutte le genti dal Timavo fino all’Arsa) intendono onorarlo con una statua, con una vera opera d’arte, perciò lo invita a ringraziarli personalmente (Va farghe de capelo/A quela nobil zente). Nell’episodio Ermanno rileva anche il fiero sangue che scorre nelle vene degli Istriani che seppero opporsi ai Goti e agli Uscocchi.
Nel secondo brano, dopo aver menzionato una tavola con prelibate delizie nostrane e il brindisi dei convitati a Tartini, Ermanno continua ad indicare vecchie glorie istriane in teologia, come i due Vergerio (il Vecchio e il Giovane) nonché il Flacio, che in setticlavio (l’insieme dei sette registri che formano le sette parti del coro classico) si rivolge a un piovano. Alludendo poi alla destrezza del Tartini spadaccino, fa riferimento al noto spadaccino Momi Nuzio. Fanno quindi seguito altre celebrità istriane con la menzione dell’erudito, enciclopedista, letterato, storico ed economista Gian Rinaldo Carli, del medico Santorio Santorio, dei famosi versatori Antonio Zuliani, Tranquillo Negri, Gavardo de Gavardo, dei pittori Vittore Carpaccio e Bernardo Parentin, del versatile canonico Piero da Barbana (Pietro Stancovich) e infine del letterato Ughi (Pasquale Besenghi degli Ughi).
Nel terzo episodio Ermanno rileva la validità dell’editore musicale e compositore Antico (Andrea) da Montona .
Nella quarta parte l’autore si sofferma su una particolare gloria istriana rappresentata dalla Parenzana, la famosa strada ferrata che un tempo collegava Trieste con Parenzo e approfitta per indicare alcune località di pregio: Portorose, Salvore, San Lorenzo. Termina l’episodio affermando che non esiste né canto, né melodia, né fantasia per poter esprimere la gioia ed il sentimento di tutti gli Istriani per l’erezione del monumento tartiniano.
Il quinto, brevissimo episodio descrive succintamente, ma in modo meraviglioso, la biografia di Tartini:
“Son qua. Ve digo come fusse ancoi:
La vita del putel, la mia famegia,
I Filipini, el chierego; la leze,
El Bo, la scherma, le schincae, l’amor
Co la mia tosa e po mugier; la fuga,
La smara del Corner, el queto Assisi;
Dopo el perdon: l’artista, el studio e ‘l nome.”
In pratica Ermanno ci racconta la vita di Tartini, come se fosse lui stesso a farlo in prima persona: la fanciullezza trascorsa con la famiglia a Pirano; la prima scuola presso l’Oratorio di San Filippo Neri; il desiderio dei genitori di farlo diventare francescano; siccome egli non ci stava, fu inviato a studiare legge all’Università (el Bo) di Padova; nel contempo si distinse quale provetto spadaccino; si innamorò di Elisabetta Premazore, di parecchio più giovane di lui, nipote del cardinale e arcivescovo di Padova Giorgio Cornaro (o Corner), che poi sposò segretamente il 27 luglio 1710, dopo la morte del padre contrario al matrimonio, come contrarissimo era pure il cardinale, che lo voleva in prigione, e quindi egli abbandonò la sposa e fuggì dapprima a Roma e in seguito in varie località; trovò rifugio sicuro presso il Sacro convento di Assisi; successivamente fu perdonato dal cardinale che gli permise di riunirsi alla moglie; in seguito egli si distinse come celebre violinista e compositore e divenne famoso.
Anche il sesto episodio fa dei chiari riferimenti alla vita di Tartini, alle serate musicali in casa Mocenigo a Venezia, all’arrivo dell’amico e famoso violinista Francesco Maria Veracini da Firenze, l’invidia, le bugie, la perfidia della gente che egli riesce a sconfiggere grazie alla sua bravura nel suonare il violino; in seguito i padovani godono della sua musica ed egli, ormai senza la necessità di glorie e di soldi, può permettersi di rifiutare ingaggi lontani, essendo libero di concedersi qualche concerto in diverse città italiane.
Il settimo brano è dedicato alla presentazione della più nota e celebre opera tartiniana – la sonata Il trillo del Diavolo che gli procurò fama mondiale.
Nell’ottavo episodio Ermanno loda, in nome di tutta la provincia istriana, l’iniziativa dell’erezione del monumento e spera che un domani anche tutte quelle glorie nominate precedentemente abbiano un qualsiasi monumento perché, conclude, ovviamente ci sono dei costi, ma la cosa fa molto piacere (La costa pochetin, la fa piasér).
Nel nono episodio Ermanno esprime il proprio entusiasmo per l’atmosfera favorevole e di progresso (la civiltà nostrana) creatasi in Istria, in tute le soe sfere, e si augura che questa possa perdurare.
Il decimo e ultimo episodio con tre sole strofe è molto significativo: Passato e presente, Istria e Pirano, datevi strettamente la mano (Passà e presente/Istria e Piran/Ah stretamente/Deve una man!), e poi: nell’armonia trovo l’amor patrio e intravvedo la ricchezza (Ne l’armonia/Trovo l’amor/De patria mia,/ Vedo el lusor.), quindi conclude: vi abbraccio e vi saluto, da padre in figlio venga raccontata la storia per la memoria vostra (Ve abrazzo. Adio./Conti l’istoria/ Da pare in fio/Vostra memoria).
Noi invece possiamo dire: Ermanno Nacinovich, conoscitore eccellente della storia istriana e dei suoi personaggi di spicco, ottimamente informato sulla vita e sull’opera di Giuseppe Tartini, ha voluto con questa sua Ode rendere omaggio al celebre artista e ai bravi piranesi che hanno pensato di erigergli un monumento degno della sua fama.
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