Siamo lieti di annunciarvi che da domenica 18 settembre sul Faro di Pirano si può visitare la mostra Zapri oči, pokrij ušesa (Chiudi gli occhi, copri le orecchie) di due giovani artiste Ana Mrovlje e Karin Zrinjski.
Prossimamente verrà organizzata l’apertura.
Orario visite al Faro fino alla fine di settembre: 15.30 -19.30. In caso di maltempo (forte vento, pioggia) il Faro rimane chiuso.
La mostra Zapri oči, pokrij ušesa (Chiudi gli occhi, copri le orecchie) è la prima bipersonale delle artiste Ana Mrovlje e Karin Zrinjski realizzata in collaborazione con la Comunità degli Italiani di Pirano.
Zapri oči, pokrij ušesa è una Gita al faro, è la promessa di un brillio in lontananza.
Nella casa al faro, appunto, ha sede la mostra; le opere delle artiste sfiorano lo spazio, sono come presenze, fantasmi di storie senza memoria. Odissee di corpi, di membra che con i loro contorni insaturi infestano, finalmente, la corrosa casa che scricchiola. Gli infissi si sgretolano, il pavimento si lamenta e l’aria del mare ne mortifica i muri. Il sale, sale da terra. Prima di entrare, sulla terrazza, vi è l’installazione di una bandiera su cui è stampato il titolo della mostra: un segno di riconoscimento, un invito a de-sensibilizzarsi per entrare, essere dimora di noi stessi. Diventare, così, creature ctonie che si incamminano fiere e spensierate come il leggero tessuto della bandiera che, molesto, è scosso dal curiosare del vento come può succedere solo alle tende delle finestre vicino alla scogliera. Il pavimento di legno è una consumata sequela a lische di pesce; da fuori, costantemente e senza soddisfazione, il Mediterraneo.
La casa del custode del faro non è stata accessibile per lungo tempo, ora, invece, i tre locali principali dell’anatomia abitativa si relazionano per la prima volta con le opere delle artiste; lo spazio fa così esperienza interna del mondo, dell’orizzonte al di là delle onde. Le ricerche delle due artiste esplorano l’essenza dei corpi che non vediamo, che percepiamo solo attraverso l’esperienza sintomatica dell’immaginazione profonda, abissale.
Corpi come organismi rizomatici tra realtà organiche: pinne caudali, sinuosi capelli pietrificati a terra e artigli di rapace; e corpi come articolazione storica, avvistamento, contaminazione e violenza di stereotipi chiamati a sedurci. Le sirene del ponente sono ibride creature che abitano i fondali del mare e le sue memorie scritte; sono dispositivi sonori, di distrazione, di avvertimento. Sono faro e ombra. Conosciute per dare corpo alla profondità insondabile, al buio, delle nostre sembianze, che si riflettono inconsistenti e che non trovano forma razionale come il bagliore sull’acqua increspata.
Le sirene baluginano i pensieri inconsci, nell’abisso che ondeggia sinuoso e rallentato. Sono come lunghi fili, alghe di verde raffreddato dalla mancanza di luce, corde di reti da pesca abbandonate nei fondali che fluttuano quasi addormentate nelle nostre rimembranze. Come sospiri le creature e i pensieri risalgono in superficie, la loro melodia è come le urla morbide e sinistre delle balene, come i suoni stridenti dei gabbiani, salgono e come i miti non rievocano avvenimenti del passato, ma le perenni presenze affogate della realtà sommersa. Come miti, ricamano pensieri eterni e senza dimora: si fanno così opera.
La sirena del faro suona e porta a riva vite e l’azzurra carezza della schiuma del mare, ella avverte che si è persa una scarpa, caduta dal cielo infestato di mostri. Nella notte, sagome controluce modellano corpi che giocano con la sinuosità del vento e delle sue ombre, dei muscoli e delle burla dell’esperienza fenomenica. Qua e là in mostra ci sono lacrime in resina tra gli altarini e gocce di mare volate fin dentro casa.
Le sirene sono l’espediente narrativo che permette a Mrovlje e Zrinjski di snodare ancestrali memorie collettive, portare a galla creature fertili di immaginazione e giocosità, corpi chimerici: letteralmente né carne, né pesce.
Zapri oči, pokrij ušesa invita a esplorare il subissale e fecondo pensiero interiore del corpo, senza farci distrarre dalla visione e dall’ascolto normato e razionale; la mostra ci chiede di diventare un’anatomia che non è indivisibile ma che accoglie, che si de-forma sugli orli scanditi dalla gioia e dalla pavidità della nostra esperienza del mondo, in mare, durante una onirica Gita al faro.
Testo a cura di Fabio Ranzolin