Negli ultimi due anni la nostra vita quotidiana è stata segnata da un’epidemia che ha travolto il mondo intero e che spesso determina ciò che facciamo al posto nostro. Ci obbliga a rispettare certe condizioni che a molte persone causano non pochi problemi. Ma le epidemie non sono una novità. Potremmo dire che sono dei fedeli compagni di viaggio dell’umanità ormai da tempo, e hanno sempre cambiato l’aspetto del mondo in un modo o nell’altro, in misura maggiore o minore. Le conseguenze sono state per lo più negative, ma il detto “non ogni male viene per nuocere” è nato per un motivo. Infatti, anche le epidemie hanno portato cambiamenti vantaggiosi nelle nostre vite. Proprio così, anche una delle peggiori e più letali epidemie della storia ha spianato la strada a un bene che oggi diamo per scontato. Durante la peggiore epidemia di peste, difatti, fu costruito a Venezia il primo ospedale pubblico che non accoglieva solo i pochi privilegiati, ma tutti. Tutti quelli che venivano a Venezia infettati. E a tutti era riservato lo stesso trattamento.
Per chi questa affermazione desti dubbi o per coloro che vorrebbero vedere le prove di persona, negli archivi di Venezia sono custoditi dei documenti che affermano che il lazzaretto fu fondato il 28 agosto 1423. Ebbene, coloro che hanno partecipato alla conferenza in Casa Tartini a Pirano giovedì 21 ottobre 2021 si sono risparmiati il viaggio alla città lagunare, perché dopo una buona erano a conoscenza di tutto ciò che c’è da sapere sul lazzaretto. La sua affascinante storia è stata presentata da Francesca Malagnini, professoressa associato di linguistica italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia, ospite in occasione della XXI Settimana della Lingua Italiana nel Mondo.
Come ha spiegato, “lazzaretto” è una delle tante parole che l’Italia ha esportato nel mondo. All’origine veniva usata per definire un ospedale per malati di peste, ma il suo uso si è poi diffuso e in alcuni luoghi significa semplicemente “ospedale”, mentre nelle aree italofone ha mantenuto il suo significato originale e significa un ospedale per malattie infettive.
In tutto il mondo la peste è diventata un appuntamento fisso già nell’anno 1000, ma ci sono voluti secoli prima che fosse contenuta e poi curata con successo. Secondo la professoressa Malagnini, fu solo tra il 1600 e il 1700 che fu definitivamente debellata. Quella più devastante, immortalata anche da Bocaccio nel proemio del suo Decameron, venne registrata nel 1348 e si diffuse in tutta la penisola italiana in soli 38 anni. Situazioni analoghe si sono verificate anche in altre parti del mondo. La gente spaventata ricorse ad ogni sorta di pozioni miracolose, molti trovarono rifugio nella religione e la città fu invasa da numerose processioni. E furono proprio queste che permisero alla peste di impadronirsi completamente di una delle più grandi e ricche città italiane.
Per salvare il salvabile, Francesco Foscari, l’allora Doge di Venezia, ordinò di chiudere le frontiere, poiché ogni giorno al porto approdavano numerose navi, che portavano ogni tipo di merce dalla Terra Santa. Il completo collasso economico, che avrebbe portato Venezia alla rovina, e la tragedia familiare in cui perse tre dei suoi undici figli a causa della peste, portarono il Doge a prendere una delle decisioni più umane mai prese, di cui, come ha sottolineato la professoressa, anche lei veneziana, sono ancora oggi estremamente orgogliosi.
Sull’isola meridionale di Santa Maria di Nazareth, vicino al porto, fece istituire il primo ospedale pubblico, togliendo il primato della sanità a monaci e altri funzionari religiosi. L’ospedale pubblico offriva un posto a tutti, non soltanto ai ricchi o ai veneziani – a tutti.
“E tutti dovevano ricevere lo stesso trattamento: dovevano mangiare, dormire, essere lavati e curati. Un sistema straordinario dunque, unico”, ha rimarcato con orgoglio l’ospite.
Come tutti ben sappiamo, la peste raramente lasciava qualche sopravvissuto, quindi l’isola offriva a tutti i nuovi arrivati la sicurezza, l’attenzione che ogni malato merita di ricevere, e come ultimo, ma non per importanza, un posto dove poter morire in pace. A molti è stato così risparmiato di spegnersi per sempre in qualche vicolo buio e sporco, sotto gli occhi di tutti.
Il “lazzaretto vecchio” aveva un’altra decorosa caratteristica. I fondi per il suo funzionamento venivano stanziati dalle casse comunali e precisamente dagli introiti del sale. E si tratta di cifre non indifferenti. La cura completa dei pazienti richiedeva persone di tutti i profili professionali, da medici, cuochi, guardie, notai, addetti all’inventario e altri, che soggiornavano sull’isola anche per anni. L’isola era per questo motivo un’entità autonoma, basata sull’autosufficienza.
Francesca Malagnini ha concluso la sua interessante conferenza con la presentazione di un’altra isola dove nel 1468 cominciarono ad accogliere persone che erano state curate e che dovevano essere sottoposte a quarantena, e dove le loro merci venivano immagazzinate in stanze speciali, ventilate e disinfettate due volte al giorno. La durata della quarantena dipendeva dalla situazione epidemiologica: durava almeno 40 giorni durante i picchi, mentre quando i contagi subivano un calo tra 15 o 20 giorni. Una volta finito il periodo di isolamento, i pazienti guariti ricevevano un certificato che attestava la loro guarigione dalla peste, e solo con questo potevano lasciare il “nuovo lazzaretto” e dirigersi a Venezia.
L’isola che un tempo ospitava i malati di peste è oggi luogo di numerosi scavi che ad ogni nuova scoperta continuano a stupire i ricercatori. La professoressa ha assicurato che lei e i suoi colleghi lavorano costantemente per preservare questa silenziosa testimonianza dell’umanità, costruita sulle rovine che la peste ha lasciato.
Traduzione del testo di Nataša Fajon: Kris Dassena
Foto: Nataša Fajon
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